Tipo, tipologia

La nozione di «tipo» (dal greco typos = segno, timbro, impronta, modello) indica un modello rappresentante la forma ideale di una serie di oggetti che da essa sono derivabili. Una forma schematica con cui si tenta di esprimere l'essenza di una cosa. L'idea di tipo non deve essere confusa con le nozioni di «genere» e «specie» ed è stata sovente rappresentata in senso metaforico come un timbro che è matrice di una serie di sue copie. Di conseguenza, il tipo corrisponde idealmente a quel soggetto che vanta i caratteri della tipicità, e che rappresenta la forma più caratteristica o perfetta derivata da una classe di soggetti; i concetti di genere e specie possono essere logicamente connessi a quelli di tipo e tipologia, sebbene siano più specifici e ad essi non riducibili. Secondo questa linea, la diade tipo/tipologia indica, in psicologia, un insieme omogeneo e statisticamente correlato di caratteristiche psicologiche, comportamentali, biologiche o, in generale, fisiche, che contrassegna le diverse individualità; nella tradizione psicologica ottocentesca il tipo è anche espressione di un soggetto in cui è riscontrabile la caratteristica predominanza di una funzione psicologica sulle altre (ad es. un tipo concreto, un tipo visivo, un tipo uditivo). Da un punto di vista storico occorre collegare il concetto di tipo anche alla nozione di «carattere» che infatti, in origine, faceva riferimento a una tipica modalità di percepire, reagire e comportarsi che distingue un individuo da un altro, e che ha condotto a una classificazione generale dei tipi individuali entro tipologie caratterologiche.

Il concetto di tipo è in relazione dialettica con quello di individuo, che all'inizio del '900 è divenuto particolare oggetto della ricerca sulla personalità, sostituendo in seno alla psicologia scientifica lo studio del carattere. Sotto questo aspetto, la psicologia della personalità si è riferita sia all'indagine sulla persona come entità unica e irripetibile, sia alla costruzione su base empirica di tipologie col fine di utilizzarle come matrici a cui riferirsi per marcare le differenze fra tipo generale e specifico individuo, e per differenziare fra loro differenti categorie di persone, ponendo in tal senso le basi metodologiche per una psicologia delle differenze individuali e problematizzando la relazione fra il generale e l'individuale. Nella psicologia della personalità, ancora oggi, sono costruite differenti tipologie in base alla ricerca e ali'evidenziazione di tipici insiemi di variabili interindividuali ulteriormente ridotte a superfattori mediante tecniche psicometriche; si elaborano, in tal modo, veri e propri modelli tipologici della personalità costruiti sulla base di questi superfattori di cui si valuta la coerenza, la significatività, l'ortogonalità e le basi psicofisiologiche; i singoli individui, secondo una logica prossima a quella della teoria degli insiemi, possono essere inquadrati entro, o differenziati da, tipologie prestabilite.

Occorre ricordare che fra '800 e '900 vennero elaborate molte tipologie della personalità: quella di Th. Ribot (tipo attivo o sensitivo), P. Malapert (tipo attivo, volontario, temperato, apatico, affettivo o intellettuale), A. Binet (tipo obiettivo o soggettivo), G. Heymans, E. Wiersma e R. Le Senne (tipo nervoso, collerico, sanguigno, sentimentale, passionale, flemmatico, amorfo o apatico), C. G. Jung (tipo estroverso o introverso), S. Freud (tipo erotico, con libido proiettata verso gli oggetti esterni, o narcisista, con libido ripiegata verso l'Io), G, Pfahler (tipi a contenuti mentali fluidi o a contenuti mentali rigidi). Meritano una trattazione a parte le biotipologie che, sviluppate fino al secondo dopoguerra, erano finalizzate alla costruzione di biotipi, ovvero tipologie in cui erano inquadrate correlazioni fra temperamento, costituzione fisica e carattere. Come affermava E. Kretschmer (1921), ciò che chiamiamo, in matematica, punti focali di correlazioni statistiche, chiamiamo anche, in prosa più descrittiva, tipi costituzionali. Un tipo vero può essere riconosciuto dal fatto che esso conduce a sempre maggiori connessioni di importanza biologica. Dove vi sono molte e sempre nuove correlazioni con i fatti biologici fondamentali abbiamo a che fare con punti focali della più grande importanza.

Dobbiamo alla ricerca di F. Gall la formulazione di una delle prime teorie «strutturali» delle differenze individuali, ancorata a una concezione generale del sistema nervoso. Il medico franco-tedesco sistematizzò una teoria dell'«intelletto» e delle «disposizioni» che denominò con vari termini (propensioni, facoltà, qualità, inclinazioni, ecc.), fondata sulla corrispondenza fra comportamento osservato, misurazione del cranio e morfologia del tessuto nervoso. La teoria di Gall, da lui stesso chiamata organologia, si presentava dunque come una prima concezione tipologica generale; essa era elaborata a partire dalla presunta corrispondenza dei comportamenti osservati con la particolare conformazione della scatola cranica, per scoprire le disposizioni fondamentali generanti i comportamenti degli individui, correlate a tipiche differenze strutturali del cervello umano; Gall volle distinguere le razze, le specie, le classi animali, sulla base di uno studio della loro organizzazione neurofisiologica; l'indagine delle tipiche forme organiche sarebbe stata la via maestra per derivare la conoscenza dell'individuo in base alla comparazione e alla differenza fra le forme individuali e le forme generali degli «organi del cervello», a cui corrispondevano anche caratteristiche qualità morali.

A questo primo approccio «biotipologico» seguirono altre differenti teorie che correlavano costituzione, temperamento e carattere. Su questa linea, si ricordano i tentativi effettuati dal francese J.-N. Halle, che distinse un tipo addominale, un tipo muscolare, un tipo toracico e un tipo nervoso cefalico (tipologia rielaborata da F. Thomas, L. Rostan, C. Sigaud e, infine, da L. Mac-Auliffe che vi comprese solo due tipi, il rotondo e il piatto). Tra la fine dell'800 e l'inizio del '900, cominciò a radicarsi una vera e propria tradizione di ricerca «biotipologica» italiana. Fra i precursori, C. Lombroso cercò di individuare i segni del tipico «delinquente nato», secondo un vertice di ricerca positivista ed evoluzionista. Lombroso procedeva nella sua ricerca, effettuando misurazioni antropometriche, classificando tratti somatici e disegnando - dal vivo - i ritratti dei delinquenti; venivano così accentuate quelle caratteristiche che secondo il ricercatore sarebbero risultate come tipiche del criminale e che vennero da lui identificate come stimmate ataviche, sia di tipo anatomico che fisiologico. In questo modo furono elaborate, secondo una presunta «imparzialità scientifica», tipologie riguardanti i ladri, gli assassini, le prostitute, i briganti meridionali, gli anarchici e gli autori di attentati politici.

La biotipologia italiana si sviluppò a partire dalla ricerca elaborata da A. De Giovanni, G. Viola e, soprattutto, N. Pende. De Giovanni fondò, sulla base della misurazione antropometrica, questa tradizione tipologico-costituzionalista, classificando gli individui in brevilinei, longilinei e normali, sulla base della rilevazione di differenze nella struttura del tronco. I suoi allievi, Viola e Pende, seguirono le orme del maestro; in particolare, Pende introdusse le terminologie «biotipologia» e «biotipo» e giunse a descrivere un sistema tipologico che correlava misure morfologiche ed endocrine con il carattere. La tradizione costituzionalista e biotipologista ha costruito dei veri e propri stereotipi, da cui sono derivati pregiudizi sulle etnie, i gruppi sociali e le differenti culture, utilizzati nella selezione professionale e lavorativa e nel fornire un tragico fondamento «pseudoscientifico» alle politiche eugeniche e razziste del '900.

E. Kretschmer e W. Sheldon hanno fornito le biotipologie della personalità più note a livello internazionale, basate sulla corrispondenza fra morfologia somatica e comportamento. A partire dalla comparazione di molte misurazioni di differenti porzioni del corpo umano, Kretschmer (1921) individuò quattro tipologie principali: l'astenico, l'atletico, il picnico e il displasico. Sheldon, comparando immagini fotografiche, ne ricavò una tipologia costituzionale che classificava i soggetti entro tre grandi categorie: l'endomorfia, la mesomorfia e l'ectomorfia. La prospettiva costituzionalista è stata progressivamente abbandonata, probabilmente sia a causa delle pesanti ipoteche ideologiche, razziste ed eugeniste, sia per la concezione statica, intrinsecamente descrittiva e fatalista dell'individuo, sia per l'assenza di un significativo sostegno sperimentale alla correlazione fra «corporeità» e comportamento.

Come è noto, secondo una prospettiva affine, I. Pavlov propose un modello concettuale di funzionamento del sistema nervoso come base psicofisiologica su cui costruire una tipologia temperamentale del carattere. Le proprietà del sistema nervoso responsabili delle differenze individuali nella reazione al condizionamento furono ritenute essenzialmente quattro: forza dell'eccitazione, forza dell'inibizione, bilanciamento (equilibrium) e mobilità dei processi nervosi. Egli derivò da queste proprietà fondamentali una tipologia, in ultima analisi com portamentale, che, da un lato, faceva diretto riferimento alla teoria dei quattro temperamenti di Galeno, e, dall'altro, era basata sulle intrinseche proprietà del sistema nervoso centrale. Tale tipologia, elaborata con gli esperimenti sui cani e generalizzata all'essere umano, descriveva tipi di sistema nervoso deboli e forti, che esprimevano caratteri dello stesso tipo. Il tipo debole corrispondeva al melanconico, e risultava «geneticamente» il meno capace ad adattarsi all'ambiente. Il sistema nervoso forte fu distinto in tipo sbilanciato (collerico) e bilanciato; il tipo bilanciato a sua volta poteva differenziarsi in mobile (sanguigno) e lento (flemmatico).

Con il radicamento della psicologia della personalità negli Stati Uniti, le tipologie differenziali furono soprattutto costruite in base a tecniche psicometriche mediante analisi fattoriale di tratti semplici. Con W. Stern prese avvio quella tradizione della psicologia moderna che tenta di definire matrici di tratti semplici, da correlare, che possano andare a costituire schemi tipologici con cui poter cogliere quelle variabili psicologiche, appartenenti sia alla singola persona che alla popolazione, per mezzo delle quali impostare una psicologia finalizzata a descrivere similitudini e differenze fra individui. Per Stern, la descrizione delle caratteristiche proprie di un individuo sarebbe stata raggiunta tramite l'indagine delle correlazioni fra misure delle funzioni psicologiche in un solo soggetto, la «psicografia», integrata con lo studio della biografia, mentre le similitudini interindividuali sarebbero state indagate tramite comparazione, e avrebbero condotto a uno studio tipologico di tipo nomotetico della personalità. L'approccio di Stern è stato un primo originale tentativo per la fondazione di una metodologia adeguata a una moderna psicologia della personalità e delle differenze individuali.

Questo punto di vista influenzò la psicologia della personalità di G. Allport. La nozione centrale che Allport rielabora dalla tradizione personologica di Stern è quella di «tratto», inteso come elemento costitutivo «semplice» e «irriducibile» dell'individualità, ovvero entità non più scomponibile (a-tomo) della personalità. La nozione di tratto ha assunto una specifica rilevanza in psicologia della personalità, dove i tratti vengono ritenuti dimensioni relativamente stabili e fondanti l'individualità.

Secondo H. Eysenck, uno dei massimi rappresentanti della tradizione inglese degli studi psicometrici sulla personalità, il tratto, nella ricerca contemporanea, risulterebbe un elemento semplice, irriducibile, un fattore di primo ordine; per mezzo dello strumento statistico dell'analisi fattoriale può essere individuata una gerarchia fra tratti, intercorrelandoli entro dimensioni di secondo ordine. Mediante questa reductio ad unum dei tratti semplici si ottiene, come risultato finale, l'elaborazione di «superfattori» tipologici utili per dar conto di ogni singola individualità. I tratti e i super-fattori risultano, quindi, i costituenti dei contemporanei modelli tipologici della personalità.

Attualmente si possono schematicamente distinguere almeno due prospettive di ricerca «fattoriale» riguardanti le tipologie della personalità: una prima psicolessicale, e una seconda comportamentista, biologica e psicofisiologica.

Il primo filone, sulla base di un'ipotesi lessicale fondamentale, muove dall'idea che nell'universo degli aggettivi risulterebbero codificati i tratti fondamentali della personalità. In tal senso, utilizzando questionari di autovalutazione e mediante l’analisi fattoriale degli aggettivi che in diversi contesti culturali rappresenterebbero le caratteristiche di personalità, è fornito un modello generale delle differenze individuali basato sulla selezione di fattori di secondo ordine o superfattori. G. Allport e H. Odbert (1936), fra i primi, selezionarono 17 953 termini dai 400 000 del Webster's New International Dictionary e li divisero in quattro categorie generali. L'approccio psicolessicale, affiancato dall'analisi statistica di questionari di autovalutazione, ha dato come esito la ricerca attuale sui cinque superfattori di personalità (estroversione, gradevolezza, coscienziosità, stabilità emotiva, intelletto o apertura all'esperienza) che, definiti Big Five, risulterebbero la punta più avanzata della ricerca tipologica.

R. McCrae e P. Costa (1999), due dei maggiori sostenitori contemporanei dell'approccio tipologico correlazionale, hanno descritto un modello della personalità fondato sui cinque fattori che vengono considerati tendenze di base, di natura temperamentale, tassonomie in cui poter induttivamente rappresentare le differenti forme di individualità; l'approccio basato sui cinque fattori della personalità viene correntemente applicato a vari contesti operativi della psicologia come il marketing, l'educazione, l'orientamento professionale, lo studio della salute e della longevità, la diagnosi e la terapia dei disturbi mentali.

Il filone comportamentale e neurofisiologico, spesso in polemica con la logica dell'approccio lessicografico, parimenti propone modelli strutturali e tassonomici della personalità che si sono sviluppati a partire da un originario modello tripartito di Eysenck. Questi, correlando fra loro una molteplicità di tratti comportamentali e psicofisiologici, prima propose una concezione tipologica della personalità basata su due dimensioni continue, l'«introversione-estroversione» e la «stabilità-instabilità emotiva», a cui in seguito affiancò un terzo fattore, definito «psicoticismo». In questa prospettiva si descrivono tipologie fattoriali in base all'osservazione e a questionari di valutazione del comportamento, a cui si tenta di far corrispondere differenti tipi di attività neurologica e psicofisiologica, indagata in laboratorio. Attualmente vari studiosi cercano i fondamenti biologici, neurofisiologici o genetici di tipologie di personalità che rielaborano, e articolano variamente, a partire dal confronto con il modello originario e tripartito di Eysenck. Occorre dire che molte di queste ricerche, ancor oggi, muovono da una rappresentazione concettuale del sistema nervoso centrale, tentando la difficile impresa di far corrispondere le tipologie fattoriali della personalità a «coerenti» modelli biologici e genetici (Pervin e John, 1992).

L'indagine psicometrica che ha condotto all'elaborazione di tipologie fattoriali della personalità si muove secondo una logica essenzialista; le tipologie psicometriche e psicofisiologiche possono essere, infatti, considerate classi naturali astratte, costruite sulla base di superfattori interindividuali. K. Lewin (1927; 1931) ha analizzato i fondamenti epistemologici che hanno condotto gli psicologi a costruire tali tipologie; la scoperta di regolarità nei casi analizzati ha portato a scambiare le regole statistiche della frequenza con cui gli eventi si verificano in leggi generali, soprattutto in base all'erronea convinzione che dall'osservazione di molti casi si possano derivare leggi valide in tutti i casi; i tipologi hanno, dunque, spesso trattato certe regolarità correlazionali come leggi esplicative generali. Su questa base, gli elementi comuni in cui si riscontrano tali regolarità sono considerati membri di insiemi omogenei e correlati da classificare. Tali elementi possono fenomenicamente sembrare simili, ma le determinanti genetico-condi-zionali di queste similitudini possono essere diverse o dipendenti da diversi processi. Le misurazioni psicometriche sono, dunque, utilizzate per raccogliere e confrontare medie statistiche di tratti che sono considerati proprietà condivise dagli individui e che possono, a loro volta, essere correlati a formare delle vere e proprie tassonomie e classificazioni fattoriali della personalità. Il ricercatore, mediante i questionari, costruisce tipologie generali in base a regolarità statistiche, cogliendo delle differenze quantitative fra gli individui in base a scarti dalla media e differenze di rango, col fine ultimo di rapportare le singole personalità al modello tipologico ideale. L'individuo può così essere rappresentato per mezzo di tendenze medie, stabili nello spazio e nel tempo, correlate e strutturate come una tipologia.

Tuttavia la ricerca contemporanea (Trempala, Pepitone e Raven, 2006), proprio a partire dalla critica lewiniana, ha messo in luce che i valori medi risultano una pura astrazione; la variabilità maggiore, infatti, si riscontra proprio intorno ai punteggi medi e gli individui tendono a variare le proprie dimensioni di personalità entro differenti contesti che, per giunta, presentano distinti e idio-sincratici pattern di variabilità delle dimensioni fattoriali. La tipologia può dunque sfuggire all'astrattezza e all'essenzialismo solo utilizzando una metodologia contestualizzata e costruttivista, in cui i fattori di personalità sono considerati processi che variano al variare del rapporto individuo/contesto. Entro determinati contesti gli individui mostrano tipici pattern di comportamento e tratti che, invece, in altri contesti variano. In tal senso la ricerca non elaborerebbe più tipologie stereotipate e valide in ogni cultura e periodo storico, anzi sarebbe di fronte alla sfida di cogliere modelli differenti e congruenti con differenti pattern di relazione individuo/contesto.

RENATO FOSCHI e GIOVANNI PIETRO LOMBARDO